saldi principi
27/06/2011
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famiglie grette incestuose
ridicoli pogrom meschini
annaspa l’omino bruttino.
un ordine deve dare, in
fila, capire un valore.
Ma insulsa anima scialba
senza muscoli ne orgasmi
solo tentato da gatti e
volpi. Vili virtù sporcate
di rosso da pochi soldi. Non
è per te la gente in festa
non il vino innamorato.
Solo resti, anaffettivo,
contabile, anima in saldo.
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Tramontare
31/05/2011
E’ il momento del declino
Tramontare significa spegnersi
ascoltando il mio fuoco interiore, sento la fine che si avvicina.
Sono vecchio, ho vissuto degnamente.
Respiro il sacro Om, lascio che il mondo in me ascolti ciò che dico.
Cerco – senza riuscirci – di ascoltare ciò che il mondo ha da dirmi.
Cerco la luce – che dovrebbe esserci – ma che non riesco a vedere.
Guardo l’oscuro, e ascolto l’invito.
Scivolo verso la debolezza, che nulla mi sorregge.
Ascolto il sacro Om, cercando conforto, ma senza successo.
Tagliatemi le mani, tagliatemi la testa, e guardateci dentro.
Un disprezzo antico, un rifiuto nascosto e sterile
e una pena infinita, per un mondo perduto.
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Inchiostro Rosso è il nome della collana noir edita da Agenzia X, e curata dallo scrittore milanese Matteo di Giulio, che viene inaugurata da “La gabbia dei matti“, il nuovo romanzo di Luca Rinarelli, scrittore torinese che ha esordito solo due anni fa con l’ottimo “In perfetto orario” (Robin). Considerato il successo del personaggio di Werner, figura accattivante e nel contempo dotata di profondità e sensibilità, ci si poteva aspettare un sequel, che certamente sarebbe stato ben accolto dai lettori.
È quindi una piacevole e inattesa sorpresa leggere una storia che affronta temi nettamente diversi dalla precedente, mantenendo una prosa elegante e solida. Rinarelli si conferma abile narratore e attento osservatore della realtà che lo circonda – non a caso associa alla scrittura l’attività di fotografo. Il suo sguardo risente di questa sua deformazione professionale, dell’abitudine a “mettere a fuoco”: una caratteristica costante della sua narrazione è infatti il continuo reinquadrare i personaggi – che sfuggono a griglie predeterminate proprio perché obbediscono a un criterio di verità. Quasi un reportage, La gabbia dei matti richiama l’attività professionale di Rinarelli, che si occupa, presso un’associazione, di persone senzatetto e in difficoltà, come la maggior parte dei personaggi di quest’opera.
Verrebbe immediato inserire questo racconto nel filone del noir sociale, e Rinarelli certamente si inquadra in questo modulo narrativo. La gabbia dei matti, difatti, è un testo duro, crudo e di frontiera. Èun’opera di parte, e in modo netto, senza distinzioni e orpelli retorici. Eppure, nonostante ciò, è un’opera carica di dubbi e perplessità, in quanto la distanza sempre più ampia tra teoria e prassi costituisce la cifra del racconto: anche se gli ideali sono saldi, oggi le pratiche sono molto meno facilmente delineabili. La questione posta dai personaggi non ammette dilazioni, o strategie. Come si ottiene giustizia? Qual è nel nostro tempo martoriato la via per vivere degnamente? I piccoli uomini di Luca Rinarelli, allontanati da una società che non ha occasione di sfruttarli, e divenuti perciò inutili, scelgono la via della rivolta. Non vi è alcuna commiserazione, né traccia di quel pietismo o sentimentalismo romantico di sinistra, troppo spesso presente in ogni percorso che si interroghi sulle forme di lotta.
Marco, Daniela, Pietro, Jack, Borghi e tutti gli altri, ognuno a suo modo, si elevano in un istante di dignità che li trasfigura. Non sono più i falliti relitti di una Torino appena intravista sullo sfondo di fabbriche abbandonate e lavori in corso. In un mondo dove la clinica e la prigione sono l’anticamera del cimitero, provano – per pochi giorni – a vivere degnamente.
Le caratteristiche narrative avvicinabili al neorealismo che erano proprie del precedente romanzo, e che nelle prime pagine potrebbero apparire come modulo stilistico prevalente anche del secondo romanzo, prendono la forma di una specie di realismo magico, in cui simboli e segni si intersecano alla realtà. La sindrome bipolare, la depressione, la schizofrenia, e il catalogo di disfunzioni mentali di cui soffrono i personaggi, diventano, come in Burroghs e Dick, altrettante strategie per ricostruire la realtà, per provare a modificarla. Pratiche di sopravvivenza che si incontrano con la apparente realtà in modo dirompente, e non omologabile ad altre forme di rivendicazione.
Vi sono delle questioni aperte che emergono con forza in questo romanzo, e che di certo costituiscono il suo merito principale, come quella – irrisolvibile – del ruolo della violenza nel processo rivoluzionario. Il tema della memoria è altrettanto sentito: per costruire una società più giusta, ma anche solo per opporre il ricordo alla omologazione della cronaca, si esplicita in modo netto la necessità di mantenere vivi nella memoria individuale e collettiva tutti coloro che sono morti a causa di un potere esercitato con la forza di un abuso.
Nel romanzo gioca un ruolo importante la Rete, di cui Rinarelli induce nei suoi personaggi un utilizzo estremamente sofisticato, rendendo attuale così ancor di più la narrazione, ed evidenziandone possibilità e limiti. I media, e in particolare i giornali, sono protagonisti, e anche in questo frangente emerge il conflitto e il dibattito interno ai media stessi, circa ruolo e funzione dell’informazione. Tutti questi temi rivestono un’importanza centrale, e ogni lettore non potrà evitare di sentirsi chiamato a partecipare; tuttavia, credo che il vero fulcro di questo breve ma intenso romanzo consista nel ribaltamento di prospettiva che si realizza nella vita dei protagonisti.
“Un altro mondo è possibile” non è più lo slogan di un movimento, ma una prassi da attuare, un modulo di lavoro, uno schema interpretativo attraverso cui rileggere la quotidianità. Ognuno dei personaggi è quindi in grado di ricongiungere ideali, progetti e vita. Lo spirito e la carne ragionano insieme, perché la distanza tra teoria e prassi si annulla nella Rivoluzione. Le disabilità dei protagonisti diventano le loro virtù, le loro debolezze la loro forza. Loro hanno ragione, e non perché lo dice la Storia o chi altro, ma perché il diritto è vissuto nella sua assenza, che purtroppo è spesso quotidianità, per chi in questa società non ha diritti, o li vede calpestati ogni giorno, perché è nella quotidianità che si incarna la giustizia, e loro lo (di)mostrano, vivendo da giusti, grazie a quelle qualità che altri chiamerebbero handicap.
Originariamente pubblicata su Il recensore
Il volto della Luna
04/03/2011
Introduzione ad un mai completato testo su Cyrano de Bergerac e i libertini.
L’immagine di Cyrano è di per sé unica, nel suo tempo. La sua prematura dipartita e la scarsità di fonti autografe lo rendono quasi uno spettro del personaggio storico. Al nostro sguardo, per quanto disincantato, per molti versi appare come un fantasma, un’immagine tramandata, giunta fino a noi attraverso la lente della leggenda. In questo senso lo scopriamo anomalo. Non è certamente la regola essere trasparenti alla storia, se si è nati in un’epoca, la seconda metà del Seicento, che certo non lesina offrire manoscritti, orpelli o documenti di qualsiasi tipologia, pur di specificare, di aggregare, di aggiungere, e significato e forma. D’altro canto ciò che di lui ci è giunto, o altri ci rendono noto, ci permette di riconoscervi tutte o quasi le caratteristiche dell’intellettuale libertino che in autori suoi coetanei, e spesso amici (o nemici), ci giungono ben documentate. Di lui si conosce l’amore viscerale per il teatro, l’ateismo, la probabile, ed in ogni modo diffusa, ipocrisia, lo schietto materialismo di stampo meccanicista. Eppure Cyrano spicca per una differenza fondamentale rispetto agli autori suoi contemporanei. Questi, ai nostri giorni, sono noti solamente agli specialisti del settore, a chi si dedica allo studio del Seicento e del Barocco. Cyrano, invece, con il passare del tempo, è diventato un soggetto leggendario, un eroe popolare, qualcuno sulla bocca di tutti. Ciò, invece, non è stato nemmeno pensabile per i libertini del suo tempo, La Mothe Le Vayer, Chapelle, Gabriel Naudé, o per gli autori teatranti del burlesque, Scarron e Tristan l’Hermit. Certo, questa trasformazione in “personaggio’” accade per noi principalmente a seguito dell’operazione di rilettura in chiave vicina al Romanticismo che ne ha compiuto l’uomo dell’ottocento Rostand. Le fonti, ovvero Le Bret, però, ci mostrano chiaramente come, ancora in vita, Cyrano era diventato un personaggio popolarissimo, e dopo di lui l’agiografia non ha avuto limiti. Cuore del nostro indagare, quindi, sarà anche chiedersi cosa lo rendeva così vicino alla sensibilità del suo tempo, da un lato, e dall’altro così universale da divenire un personaggio leggendario, un simbolo. Qual è il motivo per cui ne riteniamo attuale la lettura? In altre parole, che cosa dell’opera del Cyrano storicamente vissuto è confluita nel personaggio leggendario? E che cosa, di lui e della sua opera, può raggiungere, quindi, anche se trasfigurato dalla leggenda, la nostra epoca? La sua interdisciplinarità, il suo essere sull’orlo della crisi, seicentesco nei modi (ateo e libertino) ma cinquecentesco come radici (mago e classicista), il suo essere una corda tesa tra la tradizione classicista del primo Umanesimo e l’uso della letteratura come uno “strumento politico” che sarà proprio dell’Illuminismo [1], sono i temi cardine, le chiavi di lettura necessarie a rileggerlo sullo sfondo della modernità. Proprio in conformità a queste considerazioni, è doveroso tracciare un quadro storico – filosofico della figura di Cyrano de Bergerac, avendo sullo sfondo l’orizzonte d’interpretazione della crisi che nei cinquant’anni precedenti aveva posto fine al Rinascimento, delineando ciò che poi si è chiamato «Barocco»[2]. L’opera di Cyrano è completamente impregnata dalla rivolta, propria dello spirito libertino, verso il controllo sociale esercitato dalle grandi strutture socio politiche dell’epoca, in primis la Chiesa cattolica. Ritroveremo poi questo tema nell’Illuminismo, ad esempio in Voltaire, e, all’orizzonte, nella rivoluzione francese. D’altro canto c’è una tensione, nell’aspetto magico – rinascimentale di Cyrano, che lo spinge verso quella distanza (ed i concetti di riflessione, di seduzione e di rappresentazione [3]) che sarà il centro dell’epoca barocca, e, da qui, a proiettarsi verso la sorgente del pensiero illuminista del Settecento francese. Cyrano quindi è un momento di quel plurisecolare processo che dal Rinascimento conduce all’Illuminismo, e, al limite del nostro orizzonte, dalla società medioevale alla modernità. Cyrano è centrale in un’epoca transitoria, e di transizione. Epoca transitoria perché conduce da un episteme (in senso foulcaultiano) al successivo, di transizione perché è lì che avviene il processo di trasformazione del primo schema nel secondo. Cyrano è un intellettuale, e in quanto tale cerca di dominare, piuttosto che subire, la velocità di trasformazione, l’accelerazione improvvisa che le scienze e la filosofia del suo tempo hanno avuto. Certo questo non potrà riuscirgli pienamente. L’Estremismo e la radicalità di molte sue prese di posizione lo condannano all’emarginazione culturale, anche se la posterità ha dovuto riconoscergli maggiori crediti che i contemporanei. La rivoluzione scientifica nel 1630 – 1640 deve, per la sua maggior parte, ancora avvenire, perlomeno al di fuori del mondo ristretto degli scienziati e degli intellettuali. E’ compiuta certo la fase degli esploratori, dei Copernico e dei Galileo, ma devono ancora giungere i divulgatori, coloro che trasformeranno le formule inaccessibili degli addetti a i lavori in strumenti tecnici per i naviganti od in previsioni meteorologiche per i contadini. Soprattutto deve ancora essere compiuta la grande summa di Isaac Newton [4]. E’ difatti solo alla luce della rivoluzione scientifica ancora da venire, che scopriamo l’attualità di Cyrano, e la sua lacerazione. Difatti le sue radici ed i suoi debiti intellettuali con la cultura magica e neoplatonica del Rinascimento italiano, potremmo anche dire, più precisamente, con le fonti della sua cultura materialista, (da Cardano a Pomponazzi e la scuola di Padova fino a Campanella [5]), non gli impediscono, anche se con difficoltà, di arrivare a comprendere le ragioni e le motivazioni di un Descartes, che pure circa alcuni cardini della dottrina scientifica gli differisce radicalmente (la dottrina del vuoto, l’unicità della sostanza). Era una questione di strumenti, di metodo. Il razionalismo meccanicista di Descartes era esattamente corrispondente al valore assoluto della ragione umana proposto da Cyrano. E’ ben vero che nel Frammento di fisica accetta sostanzialmente i principi cardine della fisica cartesiana, come l’indivisibilità della materia, l’inesistenza del vuoto e la duplicità della sostanza – una ritrattazione eccezionale per colui che è stato l’alfiere dell’atomismo e dell’epicureismo – ma nella concezione dominante nel pensiero libertino di quegli anni, il meccanicismo cartesiano è visto come sorgente del pensiero materialista, nonostante le ben note Obiezioni di Gassendi. “La concezione della realtà organizzata in una res extensa ed in una res cogitans propria del cartesianesimo sarà letta dai fisici in maniera che porta facilmente al materialismo“[6], fino a giungere alla riunificazione della sostanza propria della dottrina di Spinoza. Comunque ciò che per noi qui ed ora va sottolineato, è la posizione particolarmente favorevole al transito di idee, opinioni, teorie, dottrine, in cui si trova la Francia di metà Seicento. Cyrano avverte intorno a sé lo scorrere della storia, la mutazione che il suo mondo sta compiendo. Ciò che vide intorno a se al momento della sua nascita, non sarà già più quando giunse della sua pur prematura morte. Hazard definisce gli anni cruciali della crisi quelli tra il 1685 ed il 1715 [7]. Con Cyrano siamo di pochi decenni antecedenti, nei prodromi della grande crisi europea, siamo, durante la guerra dei Trent’anni, che si conclude nel 1648, con il capolavoro diplomatico del Cardinale di Richelieu, la pace di Westfalia ed il nuovo – supposto, presunto, ipotetico – ordine mondiale. Non durerà.
[1] Il tema dell’uso politico del racconto, proprio dell’Illuminismo, sia che si tratti di narrazioni di viaggio o di letteratura autobiografica, come ad esempio in molti testi di Rousseau, è diffuso in tutta la letteratura. E’ stato Paul Hazard, ad esempio, ne La crisi della coscienza europea, (Milano, Il saggiatore, 1968), il primo ad anticipare l’inizio dell’Illuminismo agli ultimi decenni del Seicento, avvicinando così di molti anni Cyrano ai suoi futuri emuli, quali Voltaire. Annota, difatti, a proposito delle Utopie seicentesche e dei diffusissimi racconti di viaggio di quegli anni, “sono libri in cui si trovano molte stupidaggini, e non poche cianfrusaglie, in cui stanno in attesa idee mal sgrossate, ma violente; sentimenti espressi rozzamente, ma potenti. Preannunciano non solo Swift, Voltaire e Rousseau, ma la mentalità giacobina e Robespierre.” P. Hazard, La crisi…, op. cit. pg. 46. Fondamentale, nell’ottica di continuità che si vuole vedere tra Seicento e Settecento francese (rispetto invece alla frattura con il Rinascimento) è il testo di Spink, Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire, (Firenze, Vallecchi, 1974). Qui, riprendendo gli studi di René Pintard e di Ira O. Wade, Spink ripercorre l’evoluzione del libero pensiero da quando, erede della Rinascenza, “l’originario scetticismo lascia il posto dapprima all’empirismo epicureo ed al razionalismo cartesiano” (e qui si posa l’opera di Cyrano de Bergerac), e diventa pensiero essenzialmente sociale, ideologia della “borghesia industriale e finanziaria”, che apre la strada al movimento degli Enciclopedisti ed in genere all’illuminismo.
[2] Sull’uso, il valore ed il significato del termine «Barocco» esiste una letteratura immensa. Rimandiamo in questa sede a Angoulvent, Anne – Laure, Il Barocco, Bologna, Il Mulino, 1996, ed alla bibliografia in esso contenuta, ed a Maravall, Josè Antonio, La cultura del Barocco, Bologna, Il Mulino, 1985.
[3] Intendo con ciò rammentare che il concetto di riflessione, unito a quello di rappresentazione / rappresentanza crea un gioco di specchi e di rimandi essenziale alla Weltanschauung del Barocco, e che è il fondamento assente della seduzione. Procedendo solo per sommi capi ricordiamo come la storiografia del Seicento, o almeno alcune scuole, vede in stretta correlazione «metafisica» la nascita del teatro moderno, come spazio della rappresentazione che «ribalta» il mondo, e la formazione dello stato moderno, come spazio della rappresentanza politica. L’inserimento della mediazione instaura quindi lo spazio della seduzione, che quindi diventa lo spazio per definizione della rappresentazione scenica e della rappresentanza politica. L’uomo politico, che necessita del consenso, seduce i suoi elettori, così come il teatrante, in cerca dell’applauso, cerca l’incanto del pubblico. Il gioco di rimandi e di maschere definisce quindi un’epoca, l’epoca di Cyrano, con la cultura Rinascimentale, le passioni del Barocco, e la Ragione dell’Illuminismo. “Il mondo è alla rovescia o «vacilla», è in bilico, sul punto di rovesciarsi; la realtà è instabile o illusoria, come lo scenario di un teatro. E anche l’uomo è in una posizione di squilibrio, deve constatare di non essere mai ciò che è o sembra essere, nasconde il proprio volto sotto una maschera di cui si serve così bene che non si capisce più quale sia la maschera e quale il volto.” Rousset, Jean, La letteratura dell’età barocca in Francia, Bologna, Il mulino, 1985, pg. 35. “ […] Il barocco si caratterizza come una sensibilità alle passioni in tutte le loro forme: se si vuole, una sensualità delle passioni, uno spirito che mette in scena, attraverso il rapporto o i rapporti di forza che il legame passionale innesca, la problematica dell’attrazione, sia essa umana (personale) o universale (terrestre e/o celeste).” Angoulvent, Anne – Laure, Il Barocco, op. cit., pg. 15.
[4] “La costruzione della macchina corpuscolare del mondo ideata da Newton completa la rivoluzione concettuale che Copernico aveva iniziato un secolo e mezzo prima. Nell’ambito di questo nuovo universo gli interrogativi sollevati dall’innovazione astronomica di Copernico furono infine risolti, e l’astronomia copernicana diventò per la prima volta verosimile dal punto di vista fisico e da quello cosmologico. L’universo di Newton […] fu, […] un nuovo modo di guardare alla natura, all’uomo e a Dio: una nuova prospettiva scientifica e cosmologica […].” Kuhn, Thomas S., La rivoluzione Copernicana, Torino, Einaudi, 1972, pg. 333
[5] Il rapporto con Campanella della comunità scientifica parigina è emblematico ed esemplare al nostro caso. Il minimo Mersenne, dopo aver osservato che «egli non può insegnarci nulla in fatto di scienze», commenta come «tuttavia possiede una buona memoria ed una fertile immaginazione». Cartesio stesso declina l’invito ad un incontro in Olanda commentando con Mersenne che conosceva abbastanza Campanella per non volerne più sapere. Cfr. F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1969. La mancata considerazione culturale di Campanella nell’ambiente parigino d’inizio secolo corrisponde alla non comprensione, in analogo ambiente, della suicida ostinazione, e, di conseguenza, del rogo, di Giordano Bruno, alfiere, insieme a Campanella dell’incontro tra magia naturale e teologia. “[…] è importante il punto di vista che vi si delinea: simulare è possibile (e anzi necessario nelle condizioni date) perché il pensiero è altro dalla vita, si muove in un campo di alternative che non coinvolgono il destino. La salvezza della vita è uno scopo a se stante; la filosofia, anzi, è tanto più scientifica quanto più nettamente si staglia nella sua differenza dal magma della vita e segue un cammino, un metodo, una regola, isola delle quantità. […] due mondi che si separano, due linguaggi che si estraniano, due etiche che non si lasciano più misurare da un discorso comune […]». Biagio De Giovanni, Lo spazio della vita tra Giordano Bruno e Tommaso Campanella, «Il Centauro», 11-12, 1984., pg. 7. Su questi concetti si fonda la dottrina libertina dello «scetticismo politico», fatta propria da molti intellettuali francesi. Questo è l’orizzonte di problemi in cui si muove Cyrano, e, anche se faticosamente, le sue scelte alla fine sono radicali ed esplicite.
[6] Ricuperati, Giuseppe, Materialismo ed utopia nel Settecento europeo, in AA.VV. Lezioni sull’illuminismo. Atti del seminario di studi ottobre 1978 – febbraio 1979, a cura di Paolo Rossi, Milano, Feltrinelli, 1980.
[7] Hazard, La crisi …, op. cit., pg. 10.
Ogni cosa si illumina, nel suo tramontare
19/02/2011
Quando nell’angolo dello sguardo
compare il momento del declino.
Si spegne il fuoco interiore
la fine si avvicina.
Sono vecchio, ho avuto una vita degna.
Respiro il sacro Om
e lascio che il mondo ascolti ciò che dico.
Cerco – senza riuscirci – di ascoltare ciò che il mondo ha da dirmi.
Cerco la luce – che dovrebbe esserci – ma che non riesco a vedere.
Guardo l’oscuro, e ascolto l’invito.
Scivolo, debole, che nulla mi sorregge.
Ascolto il sacro Om
cercando conforto.
Tagliatemi le mani, tagliatemi la testa, guardateci dentro.
Un disprezzo antico, un rifiuto nascosto, sterile
una pena infinita, un mondo perduto.
Scomunicateci !
12/02/2011
Siamo atei.
Siamo a favore della contraccezione, dell’amniocentesi e della epidurale, della fecondazione assistita omologa ed eterologa, dell’interruzione volontaria di gravidanza, della “pillola del giorno dopo” e della RU-486, della ricerca sulle cellule staminali embrionali, dell’eutanasia e del testamento biologico.
Formiamo coppie di fatto, senza firmare contratti o matrimoni. I nostri figli non li battezziamo e li esoneriamo dall’insegnamento della religione cattolica.
Preferiamo pensare, invece di credere.
E pensiamo a una nascita umana sana, uguale per tutti, senza perversioni e senza peccato originale.
Perciò il Bene per noi è sinonimo di etica umana e di sanità mentale.
Riteniamo che la Chiesa non si sia mai evoluta, se non perché costretta dagli Stati laici, come il nostro non sembra essere piú.
Ugualmente, sosteniamo che il clero è una lobby di potere politico ed economico; e che il Vaticano è uno Stato straniero, con le sue regole, il suo piccolo territorio e le sue grandi brame di espansione.
E nemmeno chiediamo che si torni… alle origini, come si dice: a Gesù, a san Francesco o alla madonna; perché per noi essi sono astrazioni, figure mitologiche, né più né meno di Giove, Bacco e Artemide.
Perciò vogliamo starne fuori: se la Chiesa o il nostro Stato parleranno a nome della cristianità, non parleranno piú a nome nostro.
Vogliamo essere liberi di sognare, di pensare alle donne e agli uomini come noi, di occuparci dei nostri bisogni e delle nostre esigenze di esseri umani, fatti di psiche e di biologia e nati non prima di aver visto la luce con i nostri occhi. E morti quando non potremo più pensare di essere vivi.
Tutto questo può bastare per essere scomunicati? Riteniamo di sì.
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Il sito dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti.
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Principia
01/02/2011
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